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17 gennaio 2020

Una sindrome dimenticata: la sindrome di Lemierre

La sindrome di Lemierre o "sindrome dimenticata" perché diventata rara dopo l'avvento della terapia antibiotica, è una tromboflebite settica della giugulare interna che insorge come complicanza di un ascesso peritonsillare. Essa colpisce di solito giovani adulti
 I germi in causa sono gram-negativi anaerobi, in particolare Fusobacterium necrophorum.


Quadro clinico
Clinicamente si presenta con febbre (presente nel 92% dei casi), faringite o ascesso peritonsillare e massa dolente unilaterale del collo palpabile lungo il margine anteriore dello sternocleidomastoideo o all’angolo mandibolare con trisma. 
La dolorabilità del collo può essere accentuata ruotando il capo con- trolateralmente, come conseguenza dell’irritazione del muscolo sternocleidomastoideo
Il sospetto clinico va posto in presenza di un’infezione orofaringea primaria, associata a setticemia e a tromboflebite della vena giugulare interna. 


Laboratorio
leucocitosi neutrofila, aumento della VES e, nel 50% dei casi, un aumento degli indici di funzionalità epatica. 
La crescita dei batteri nell’emocoltura per anaerobi e colture da tutti i materiali drenati impiega dalle 48 ore a 7 gg.


Diagnosi
La diagnosi tempestiva della sindrome di Lemierre è importante e permette di ridurre sia la morbosità che la mortalità connesse ad essa. 
La diagnosi può essere confermata da una trombosi settica della vena giugulare interna e dalla batteremia; 
per una corretta diagnosi viene consigliata la TAC o la risonanza magnetica soprattutto dell'area cervicale, infatti una trombosi appena formata spesso non è visibile con l'ecografia.
La TC del collo comunque, dovrebbe essere il miglior mezzo diagnostico per la tromboflebite della giugulare.


Trattamento
Il trattamento della sindrome di Lemierre prevede un’antibioticoterapia specifica e, in molti casi, un drenaggio chirurgico con asportazione dei tessuti necrotici e aspirazione del materiale purulento. 
La risposta alla terapia antibiotica con defervescenza è lenta e avviene tra gli 8 e i 12 giorni. Questo è dovuto alla difficoltà, in alcuni casi, di un approccio chirurgico, alla penetrazione degli antibiotici nel trombo settico e alla sensibilità agli antibiotici dei germi responsabili. 
Il F. necrophorum è resistente alla gentamicina e ai chinolonici. È sensibile alle penicilline che vanno sempre associate a un inibitore delle betalattamasi poiché sono stati isolati alcuni ceppi produttori di betalattamasi. 
Il metronidazolo potrebbe essere associato a una più rapida risposta, 
L’associazione tra metronidazolo (500 mg ev ogni 8 h) e ceftriaxone (2 gr ev ogni 24 h) ha dimostrato avere un potere battericida sul F. necrophorum e una buona copertura sugli streptococchi orali. 
L’utilizzo in monoterapia di un carbapenemico, dell’ampicillina-sulbactam, di una penicillina antipseudomonas o di clindamicina è risultato essere un’opzione terapeutica appropriata. 
La terapia antibiotica dovrá durare dalle 3 alle 6 settimane e, quando l’infezione risulta essere con- trollata, si può passare alla somministrazione orale della terapia


Prognosi
La mortalità è molto alta, se la sindrome non viene riconosciuta in tempi brevi e trattata con antibiotici ad ampio spettro in concomitanza di un trattamento intensivo