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25 novembre 2019

Il disturbo delirante

Il disturbo delirante è una psicosi caratterizzata da una forma di delirio cronico basato su credenze illusorie che il paziente ostinamente considera vere (egli resiste ad ogni tentativo altrui di convincerlo del contrario) e che ne alterano l'approccio con la realtà.

Queste credenze sono in genere di tipo verosimile, come la convinzione di essere traditi dal proprio partner o di essere vittima di un complotto di qualche genere o di essere infettati da una malattia contagiosa.

A parte l'incapacitá del paziente di ravvedersi di tali credenze illusorie che danno origine al delirio, egli mantiene le proprie facoltà razionali e in genere le sue capacità di relazione sociale che non sono quindi compromesse.

24 novembre 2019

Come spiegare l'anemia lieve moderata

Molte malattie sistemiche croniche sono associate ad anemia lieve o moderata.

Ricordiamole con le rispettive cause:

Anemia dell'infiammazione è associata a stati infiammatori cronici (come malattia infiammatoria intestinale, artrite reumatoide, infezioni croniche e neoplasie) ed è mediata dall'epcidina (regolatore negativo della ferroportina) principalmente attraverso un elevato IL-6, con conseguente riduzione dell'assorbimento di ferro nell'intestino e riduzione del trasferimento di ferro dai macrofagi alle cellule progenitrici della linea eritroide nel midollo osseo.

Questa situazione è indicata come eritropoiesi a ferro limitato dal momento che il paziente è carente di ferro.

C'è anche una ridotta reattività all'eritropoietina, l'elaborazione di emolisine che accorciano la sopravvivenza dei globuli rossi e la produzione di citochine infiammatorie che riducono la produzione di globuli rossi.

Il ferro siero è basso nell'anemia infiammatoria


Anemia dell'insufficienza d'organo che può verificarsi in caso di malattia renale, insufficienza epatica e insufficienza delle ghiandole endocrine.

L'eritropoietina è ridotta e la massa dei globuli rossi diminuisce in risposta al ridotto segnale per la produzione di globuli rossi;

In tal caso il ferro sierico è normale (tranne nella malattia renale cronica dove è basso a causa della ridotta clearance di epcidina e della conseguente maggiore degradazione della ferroportina).


Anemia degli adulti più anziani è presente fino al 20% degli individui di età superiore agli 85 anni in cui una valutazione approfondita di una spiegazione dell'anemia è negativa.

L'anemia è una conseguenza di:

(1) una relativa resistenza alla produzione di globuli rossi in risposta all'eritropoietina, (2) una diminuzione della produzione di eritropoietina rispetto alla massa di nefroni

(3) un'influenza eritropoietica negativa di bassi livelli di citochine infiammatorie negli adulti più anziani

(4) la presenza di varie mutazioni somatiche nei geni mieloidi tipicamente associati a neoplasie mieloidi.

Il ferro sierico è normale.

23 novembre 2019

Stridore, cause

Laringospasmo
può essere parte di una reazione anafilattica o essere secondario all'aspirazione.

Tumore laringeo o tracheale. 
può essere presente un'anamnesi di disfagia, raucedine, tosse, o perdita di peso e anoressia

Epiglottite
Il paziente è spesso incapace di parlare o di ingoiare secrezioni. 
La bocca è tenuta aperta e ci può essere sbavamento. (una presentazione simile può verificarsi in caso di angina di Ludwig o di ascesso che coinvolge il pavimento della bocca.)

Aspirazione da corpo estraneo

Disfunzione delle corde vocali
le corde vocali paralizzate bilateralmente possono provocare grave stridore e dispnea. 

Asma fittizia o discinesia laringea
i pazienti adduccono le loro corde vocali invece che tenerle aperte

Carbone attivo nelle intossicazioni esogene per ingestione

I metodi di decontaminazione in caso di intossicazioni esogene includono l'induzione dell'emesi, la lavanda gastrica, il carbone attivo, l'irrigazione intestinale intera e la rimozione chirurgica o endoscopica della tossina. 

I migliori risultati si ottengono se questi metodi vengono eseguiti nella prima ora dopo l'ingestione. 

Il carbone attivo si é dimostrato essere un efficace metodo di decontaminazione in tutti i casi di ingestione e di sovradosaggio di sostanze tossiche tranne dove controindicato. 

Il carbone attivo lega molti tipi di farmaci ingeriti, impedendone l'assorbimento. 

La dose appropriata è di 1 g/kg somministrata per via orale o da tubo nasogastrico. 

Le dosi di carbone attivo devono essere ripetute come indicato per la sostanza specifica ingerita. 
Esso viene somministrato in combinazione con acqua o sorbitolo 

Le controindicazioni includono
-l'ostruzione intestinale
-l'ingestione di idrocarburi
-l'ingestione di corrosivi acidi o alcali
-l'ingestione di sostanze che non si legano al carbone (come il litio e i metalli come il ferro), e qualsiasi caso in cui vi é rischio di aspirazione.

NB. Il carbone attivo può essere somministrato a pazienti con rischio di aspirazione dopo l'intubazione. 

21 novembre 2019

Coma nel paziente diabetico, diagnosi possibili

Correlato al diabete
Ipoglicemia
Chetoacidosi diabetica
Coma iperglicemico iperosmolare
Acidosi lattica


Non correlato al diabete

Alcool o altri farmaci tossici
Incidente cerebrovascolare o trauma cranico
Uremia

Nefrotossicitá da mezzi di contrasto

I mezzi di contrasto radiografico possono essere direttamente nefrotossici.  
La nefropatia da mezzi di contrasto è la terza causa principale di insufficienza renale acuta nei pazienti ospedalizzati e si pensa che sia il risultato della combinazione sinergica della tossicità epiteliale a livello delle cellule tubulari renali e dell'ischemia midollare renale.  

I fattori predisponenti includono:
-l'età avanzata
-una malattia renale preesistente (creatinina sierica maggiore di 2 mg/dL); 
-una riduzione del volume plasmatico
-una nefropatia diabetica
-un'insufficienza cardiaca
-il mieloma multiplo
-dosi ripetute di mezzo di contrasto
-una recente esposizione ad altri agenti nefrotossici, tra cui NSAID e ACE inibitori.  

NB. La combinazione di diabete mellito preesistente e disfunzione renale rappresenta il rischio maggiore (15-50%) per la nefropatia da mezzi di contrasto.  

Nei pazienti ad alto rischio si raccomandano volumi di mezzi di contrasto ridotti con una minore osmolalità.  

La tossicità di solito si verifica entro 24-48 ore dopo lo studio radiografico.  
I supporti di contrasto non ionico possono essere meno tossici, ma tutto ció non è stato ben dimostrato.  


Come prevenire la tossicitá
La prevenzione della nefropatia da contrasto è l'obiettivo principale allorquando si utilizzano questi agenti.  

La chiave della terapia è semplicemente l'infusione di 500-1000 mL di soluz. salina intravenosa 0.9% in 10-12 ore, sia prima che dopo la somministrazione del mezzo di contrasto (da somministrare con cautela in pazienti con disfunzione cardiaca preesistente)

Altri agenti nefrotossici dovrebbero essere evitati durante il giorno prima e il giorno dopo la somministrazione del mezzo di contrasto.  

La N-acetilcisteina, un antiossidante contenente tiolo, il cui meccanismo d'azione non è chiaro, è stata proposta per ridurre l'incidenza di nefropatia da contrasto quando somministrata prima e dopo l'agente di contrasto.  

Purtroppo comunque non  è stato dimostrato alcun beneficio con l'uso di N-acetilcisteina rispetto alla normale soluzione salina.

Sindrome simpaticolitica

La pressione sanguigna e la frequenza cardiaca sono ridotte e la temperatura corporea è bassa.

Le pupille sono piccole o addirittura puntiformi.

I pazienti presentano solitamente ottundimento del sensorio o coma.

Sostanze che possono provocare la sindrome: 
barbiturici, benzodiazepine e altri ipnotici sedativi, gamma-idrossibutirrato, clonidina e antiipertensivi correlati, etanolo, oppioidi.

20 novembre 2019

Sindrome anticolinergica da farmaci

Una tachicardia con ipertensione lieve è comune e la temperatura corporea è spesso elevata. 
Le pupille sono molto dilatate. 
La cute è arrossata, calda e secca. 
La peristalsi è ridotta e la ritenzione urinaria è comune. 
I pazienti possono presentare movimenti mioclonici o movimenti coreoatetoidi. 
Si osserva spesso un delirio agitato e può verificarsi una grave ipertermia.

Sostanze responsabili: atropina, scopolamina, altri anticolinergici naturali e farmacologici, antistaminici, antidepressivi triciclici.

La SIC appulo lucana compie 50 anni: congresso a Bari


BARI - Mezzo secolo e non sentirne il peso. Il congresso annuale della Società italiana di cardiologia ha un sapore particolare. Se la SIC nazionale compie 80 anni, quella appulo-lucana presieduta dal dott. Giancarlo Piccinni festeggia i suoi primi 50 anni. Tradizione a parte, il congresso, la cui direzione scientifica è curata anche dal prof. Marco Matteo Ciccone, si conferma un momento importante di confronto tra cardiologi, cardiochirurghi e chirurghi vascolari pugliesi e lucani sui percorsi diagnostici e sulle procedure per migliorare i risultati organizzativi e terapeutici.

Un evento che, sull’onda di un connubio ormai rodato, vede impegnate la SIC da un lato e, dall’altro, l’Associazione nazionale medici cardiologi ospedalieri (ANMCO). Ovvero le due più rappresentative e prestigiose associazioni di medici cardiologi. L’appuntamento è a Bari, per venerdì 22 e sabato 23 novembrepresso il Nicolaus hotel. Articolato sulle due giornate, durante il congresso saranno discusse le linee guida, nonché i Percorsi diagnostico terapeutici assistenziali(PDTA) per affrontare al meglio le malattie cardiovascolari. Più nel dettaglio, saranno individuati e chiariti i passaggi più importanti dell’assistenza, dell’organizzazione sanitaria e della ricerca nel settore cardiovascolare.

Al centro dei lavori, in particolare, una road map per la presa in carico del paziente sulla base delle reti tempo-dipendenti, ovvero l’individuazione di un preciso timing per gli interventi, nonché del luogo di cura più appropriato a seconda delle caratteristiche della gravità delle patologie. Un percorso che vede la Puglia tra le prime regioni italiane ad avere individuato procedure salvavita in caso di infarto, arresto cardiaco, ictus o embolia polmonare.

Ma il congresso rappresenta anche un importante momento di confronto per fare il punto sullo stato dell’arte della prevenzione nelle malattie cardiovascolari anche in ragione di un fenomeno che sembra in ascesa, ovvero l’infarto “giovanile”: si registrano infatti sempre più casi di eventi che colpiscono soggetti con meno di 60 anni. Dagli stili di vitaai farmaci che hanno dimostrato ottimi risultati anche su questo aspetto, si preannunciano due giornate intense.

Si parlerà, inoltre, della prevenzione primaria del rischio cardiovascolare, ma anche del rapporto medico-pazienteche sta vivendo un momento di crisi. Come archiviare la stagione della conflittualità per ritornare a una relazione di maggiore fiducia? Va letto in quest’ottica il contributo che durante i lavori sarà dato dall’Associazione cardiopatici affetti da patologie congenite. Insomma, in un congresso scientifico una finestra importante riservata al malato e al suo rapporto con il medico.

Infine, una sessione sarà dedicata alla cosiddetta “polipillola”. Spesso, una volta dimesso, al paziente cardiopatico vengono prescritte anche 10-12 pillole al giorno, con il rischio che il malato vada incontro a confusione o dimenticanze. In soccorso viene la polipillola che racchiude più compresse in una. L’obiettivo è aumentare l’aderenza alla terapia e quindi ridurre la mortalità e nuove ospedalizzazioni.

17 novembre 2019

Betabloccanti croce e delizia negli anziani

Gli anziani sono più sensibili alla fatica, alle vertigini, alla depressione, all'intolleranza all'esercizio, al blocco atrioventricolare e all'impotenza che può derivare dai betabloccanti. 
Può essere necessario ridurre la dose di tali farmaci a causa di uno di questi effetti indesiderati. 

L'interruzione dei beta bloccanti dovrebbe essere sempre evitata, se possibile, poiché essi riducono la mortalitá nei pazienti anziani, soprattutto se hanno subito un infarto miocardico. 
Questo beneficio persiste in pazienti > 65 a. con disfunzione ventricolare sinistra che sono in trattamento anche con un ACEinibitore

Alcune notizie essenziali per la diagnosi di tetano

Cerca:
anamnesi di ferite e di possibile contaminazione.
rigidità muscolare della mandibola (blocco), poi spasmo (trisma).
rigidità del collo e degli altri muscoli, disfagia, irritabilità, iperreflessia.
infine, convulsioni dolorose precipitate da stimoli minimi.


Considerazioni generali

Il tetano è causato da una neurotossina la tetanospasmina, elaborata dal C tetani. 
Le spore di questo organismo sono onnipresenti nel suolo e possono germinare quando introdotte in una ferita. 
I batteri vegetativi producono tetanospasmina, una zincproteasi che rompe la sinaptobrevina, una proteina essenziale per il rilascio del neurotrasmettitore. 
La tetanospasmina interferisce con la neurotrasmissione a livello delle sinapsi spinali dei neuroni inibitori. La conseguenza è che gli stimoli minori si traducono in spasmi incontrollati e i riflessi sono esagerati. 

Il periodo di incubazione va da 5 giorni a 15 settimane, con una media di 8-12 giorni.

La maggior parte dei casi si verifica in individui non vaccinati. 

Le persone a rischio sono adulti più anziani, lavoratori migranti, neonati e tossicodipendenti per via parenterale. 

Mentre le ferite da puntura sono particolarmente inclini a causare il tetano, qualsiasi ferita, compresi morsi o decubiti, può essere colonizzata e infettata dal C tetani.

I farmaci nel demente

Alcuni farmaci possono essere utili per gestire la perdita di memoria e i problemi comportamentali.

Anticolinesterasici: possono aiutare a ritardare il declino cognitivo e preservare la capacità funzionale per circa 12 mesi in caso di demenza di Alzheimer lieve o moderatamente grave.
Tacrine (Cognex), 40 mg al di

Donepezil (Aricept), 5 mg per os al di 5 giorni, quindi 10 mg per os al di

Effetti collaterali includono nausea, vomito, diarrea, e insonnia.



La vitamina E, 2000 IU per os al di, è utile per ritardare la progressione verso il collocamento del paziente in casa di cura di 4-6 mesi.



La tiamina, 100 mg per os al di, per i pazienti con una storia di alcolismo importante (previene la sindrome di Wernicke-Korsakoff).



Antipsicotici atipici: questi farmaci controllano efficacemente agitazione, delirio e allucinazioni.
Quetiapine (Seroquel), 25-100 mg 
oppure
Risperidone (Risperdal), 1–2 mg per os al di
oppure
Olanzapine, 5 mg per os al di


Antipsicotici tipici: non usati molto frequentemente, a causa dei forti effetti collaterali anticolinergici.
Aloperidolo (Haldol), 1-2 mg per os 3 volte al di



Benzodiazepine: attenzione vi é rischio di disinibizione paradossa negli anziani agitati. Non molto utili come monoterapia, possono essere utili come in aggiunta per i sintomi della "sindrome del sole calante"



SSRI: la depressione e l'ansia si verificano nel 40-50% dei pazienti dementi.
Citalopram (Celexa), 10-20 mg per os al di

Intossicazione da antidepressivi triciclici, un antidoto

Bicarbonato 1 - 2 meq/kg  e.v. , poi bicarbonato di sodio a goccia lenta (due o tre ampolle da  50 ml di nahco3) aggiunte a 1 litro diglucosata al 5d 5w) alla velocitá di 150 - 200 ml/ora. 
Controlla e monitorizza il ph arterioso ed il bicarbonato sierico. L'alcalinizzazione blocca le anomalie cardiache

I tumori del collo. Diagnosi

Diagnosi differenziale
La diagnosi differenziale per una massa maligna del collo include le seguenti patologie:
carcinoma a cellule squamose
adenocarcinoma
linfoma
neoplasie tiroidee 
melanoma.


Test diagnostici

Poiché i tumori che hanno origine altrove, nel corpo, possono anche presentarsi con una massa del collo, dovrebbe sempre essere eseguita un'anamnesi  approfondita ed un esame fisico, insieme alla valutazione per potenziali siti primari

Una biopsia con ago fine per la citologia è preferita come passo iniziale per la valutazione di una massa del collo senza un chiara origine primitiva.

La biopsia a cielo aperto può essere utile se il sospetto di linfoma è elevato. 

Se la citologia mostra un carcinoma a cellule squamose, un adenocarcinoma, o un cancro epiteliale anaplastico/indifferenziato e non è stato identificato alcun tumore primitivo, allora dovrebbe essere fatto un PET/TC. 

Un Test per HPV ed EBV è raccomandato in caso di presenza di cellule squamose o istologia indifferenziata. 

Se l'imaging non rivela un tumore primitivo, dovrebbe essere eseguita l'endoscopia con biopsia alla cieca di potenziali siti 
nel nasofaringe
nelle tonsille
alla base della lingua 
a livello del seno piriforme.


Trattamento
Se non viene trovato alcun sito primitivo e il tumore è suscettibile di resezione, la resezione chirurgica può essere il primo trattamento. 

Se il tumore mostra estensione extracapsulare o coinvolgimento di più linfonodi, allora possono essere somministrate radiazioni postoperatorie.
Una dissezione a livello del collo è raccomandata per tutti i pazienti con adenocarcinoma tiroglobulina-negativa e calcitonina-negativa. 

Dopo la dissezione, la gestione dipende dai risultati patologici. 

Possono essere raccomandate radio o chemioterapia, a seconda della quantità di malattia nodale o della presenza di caratteristiche avverse. 

Se la patologia mostra carcinoma a cellule squamose o altre quadri istologici non comuni, la resezione chirurgica a livello del collo è in genere la gestione iniziale, seguita da radio o chemioterapia simultanea, a seconda dei risultati patologici.

È possibile prevenire alcune malattie con:

Acido folico

Per le donne in età fertile che hanno intenzione di rimanere incinta, 0.4 mg PO al di è raccomandato per prevenire i difetti del tubo neurale.


Calcio

Per gli uomini e le donne in premenopausa, si raccomanda 1000 mg PO qd di  Ca2+ elementare
Per le donne in postmenopausa, 1500 mg PO al di

Il carbonato di calcio contiene il 40% di Ca2 elementare/pillola e deve essere assunto con cibo per un maggiore assorbimento.

Il citrato di calcio (21% di Ca2 elementare/pillola) ha un migliore assorbimento nei pazienti con minore acidità dello stomaco (ad esempio, anziani, paz. in terapia con inibitore della pompa protonica).


Vitamina D

Per i pazienti con etá superiore a 50 anni, 200–400 IU PO al di per aiutare a prevenire l'osteoporosi. 

Per i pazienti >65 o con osteoporosi, si raccomandano 400-800 IU PO al di. Molti integratori di calcio aggiungono anche vitamina D.


Aspirina

81–325 mg PO al di sono raccomandati per la prevenzione primaria nei pazienti ad alto rischio di malattie cardiache (rischio di eventi cardiovascolari >1,5%/anno) e nei pazienti con ipertensione e TIA.

È raccomandata per la prevenzione secondaria in pazienti con malattia cardiaca accertata o incidente cerebrovascolare.

L'ASA con rivestimento enterico ha meno effetti collaterali gastrointestinali


Multivitaminici

Considera l'aggiunta di un multivitaminico ai farmaci assunti, soprattutto se il paziente ha uno stato nutrizionale scadente.


ricorda
 PO = per os (per bocca)

Anemia normocitica, trattamento (in breve)

Trattamento della malattia di base (insufficienza renale, malattia cronica, ipotiroidismo).

Trasfondi se necessario.

Eritropoietina:
Insufficienza renale: 50 - 100 u/kg sc 3 volte alla settimana
Chemioterapia: 150 u/kg sc 3 volte alla settimana
Hiv/aids: 100 u/kg sc 3 volte alla settimana

Definizioni in ginecologia

Menorragia: mestruazioni prolungate (> 7 giorni) o abbondanti (> 80 ml)

Metrorragia: emorragia irregolare

Menometrorragia: mestruazioni prolungate o abbondanti ed emorragie irregolari

Polimenorrea: mestruazioni ad intervalli inferiori a 21 giorni

Oligomenorrea: mestruazioni ad intervalli superiori a 35 giorni

Sanguinamento uterino disfunzionale: la causa più comune di sanguinamento uterino anomalo in adolescenti e donne in perimenopausa. É una diagnosi di esclusione. Oltre il 90% dei casi é anovulatorio il resto è ovulatorio.

Screening delle malattie sessualmente trasmesse

Nel sospetto cerca la clamidia, la gonorrea e la sifilide, in pazienti con:

recenti partner sessuali o molteplici partner sessuali
in pazienti con precedenti di malattie sessualmente trasmesse
in pazienti che fanno sesso per denaro o droga, e nelle donne in gravidanza.


Considera lo screening di routine in tutti i pazienti adolescenti sessualmente attivi e nei pazienti con precedenti di malattie sessualmente trasmesse


Considera anche i test per l'hiv, e l'epatite b e c nei pazienti ad alto rischio.

Creatinina

Valori normali

Maschio adulto < 1,2 mg/dl (si 106 mmol/l)

Femmina adulta < 1,1 mg/dl (si 97 mmol/l)

Bambino 0,5 - 0,8 mg/dl (si 44 - 71 mmol/l)


Rappresenta una stima clinicamente utile dell'GFR (filtrato glomerulare)

I valori normali di GFR sono compresi tra i 91 e i 120 mL/min; tanto più tale valore decresce, quanto più vi è il rischio di andare incontro a un danno renale.

In generale, un raddoppio della creatinina equivale ad una riduzione del 50% del filtrato glomerulare.

La creatinina
aumenta in caso di: insufficienza renale (prerenale, renale, da ostruzione, farmaco indotta (fans, aminoglicosidi,altri), gigantismo, acromegalia, ingestione di carne arrostita, falsamente positiva in caso di chetoacidosi diabetica

Rapporto albumina/globulina (nel siero)

Normale > 1

Come si calcola
albumina diviso per il totale delle globuline

Riduzione
cirrosi, malattie del fegato, sindrome nefrosica, glomerulonefrite cronica, cachessia, ustioni, infezioni croniche e stati infiammatori, mieloma

Principali cause di morte nella demenza di Alzheimer

sepsi

polmonite

embolia polmonare o altre malattie associate all'immobilità

16 novembre 2019

La prealbumina

La prealbumina o transtiretina è un altro tipo di proteina prodotto dal fegato. 
Ha una emivita di 2 - 3 giorni, che la rende un indicatore dei cambiamenti dello stato nutrizionale acuto rispetto all'albumina. 
Il livello può essere diminuito in pazienti con malattia epatica, danni tessutali diffusi, malnutrizione, perdita di proteine o infiammazione, nonché in pazienti che assumono estrogeni o contraccettivi ormonali
Più basso Il livello di prealbumina, maggiore è il rischio di mortalità. 

La prealbumina veicola la tiroxina e la vitamina a in tutto il corpo; pertanto, i bassi livelli di prealbumina riducono il trasporto di queste sostanze. 

I livelli di prealbumina elevati sono stati riscontrati in pazienti con malattia di Hodgkin ed in quelli che assumono un farmaco antinfiammatorio non steroideo.

15 novembre 2019

Ipertrofia prostatica benigna: l'obesità aumenta il rischio fino al 40%

CATANIA – L’obesità può aumentare fino al 40% il rischio di sviluppare l’ipertrofia prostatica benigna, una malattia che colpisce più di 6 milioni di italiani over 50. Ma ancora sottostimata, nonostante sia caratterizzata da sintomi evidenti: necessità di alzarsi più volte durante la notte per urinare, urgenza di vuotare la vescica in modo frequente anche durante il giorno e getto di urina che diventa sempre più debole con una sensazione di mancato svuotamento. Troppi pazienti si rivolgono all’urologo solo quando i segnali sono presenti già da tempo e ben il 75% abbandona le terapie dopo alcuni mesi. Per arrestare l’incremento progressivo della patologia, è necessario agire in due direzioni: da un lato, sensibilizzare gli uomini sull’importanza di seguire una dieta sana e praticare attività fisica costante. Soprattutto al Sud, dove sovrappeso e obesità rappresentano una vera e propria epidemia: interessano il 50,9% della popolazione in Campania, il 48,4% in Calabria e il 46,6% in Sicilia.

Dall’altro lato, è essenziale agire quanto prima con farmaci efficaci, come l’estratto esanico di Serenoa repens, per combattere l’infiammazione che è all’origine della malattia. Per questo gli urologi lanciano dal IX Congresso Nazionale SIUT (Società Italiana Urologia Territoriale), in corso a Catania, una grande campagna educazionale che si svolgerà nel 2020: “Il Sabato del villaggio – l’urologo del territorio in linea”, con un numero verde che tutti i cittadini possono contattare ogni sabato per ottenere informazioni sulle problematiche urologiche.

“La sindrome metabolica, condizione che implica una quantità eccessiva di grasso corporeo a livello addominale (oltre ad aumento della glicemia, ipertensione, alterati valori di colesterolo HDL e trigliceridi nel sangue), è strettamente correlata all’infiammazione che provoca l’ingrossamento della ghiandola prostatica e i conseguenti sintomi urinari – spiega Corrado Franzese, Presidente SIUT -. Inoltre l’obesità condiziona negativamente anche la risposta alle terapie. Da qui l’importanza di informare la popolazione sul ruolo degli stili di vita sani. L’urologo del territorio rappresenta il ‘front office’ della domanda urologica dei cittadini, grazie al link diretto con il medico di medicina generale. Vogliamo mantenere un atteggiamento proattivo nei confronti della popolazione, per evitare che i pazienti si rivolgano allo specialista solo quando hanno già sviluppato i sintomi, espressione di una malattia ormai in atto. Possiamo svolgere un ruolo decisivo nella prevenzione e nel controllo dell’ipertrofia prostatica benigna. Basta pensare che il 65% delle nostre visite ambulatoriali riguarda proprio questa malattia. E, ogni anno, un urologo del territorio visita in media 3.900 pazienti con ipertrofia prostatica benigna”. Ne è colpito il 50% degli uomini di età compresa fra 51 e 60 anni, il 70% dei 61-70enni, per arrivare al picco del 90% negli ottantenni.

“Nella maggior parte dei casi, sono proprio le compagne a spingere gli uomini a recarsi dallo specialista, perché più inclini a sottoporsi agli esami di prevenzione – afferma Vincenzo Mirone, Direttore della Scuola di Specializzazione in Urologia dell'Università degli Studi di Napoli ‘Federico II’ -. Nella percezione comune, l’ipertrofia prostatica benigna è vista come un semplice disturbo, con una conseguente diffusa sottovalutazione. Un errore grave e pericoloso, anche perché alcuni sintomi dell’ipertrofia prostatica benigna sono comuni al cancro della prostata. Solo il medico è in grado di arrivare a una diagnosi certa. Se trascurata, l’ipertrofia prostatica benigna può progredire fino a causare ritenzione urinaria con l’impossibilità di vuotare la vescica. La vittima di una prostata che cresce è proprio la vescica. Il rischio è di ‘sfiancare’ completamente quest’organo e di far soffrire i reni. Ciononostante, solo il 22,4% dei pazienti segue correttamente le terapie”.

“Circa il 75% degli uomini abbandona i trattamenti dopo pochi mesi – continua il dott. Franzese -. Uno dei motivi è costituito dall’impatto di alcuni farmaci sulla vita sessuale, in particolare vi possono essere conseguenze negative sull’eiaculazione e sulla libido in seguito all’assunzione di determinati alfa litici e inibitori della 5-alfareduttasi. L’estratto esanico di Serenoa repens, invece, non ha effetti negativi sulla sessualità e ha dimostrato di ridurre in maniera statisticamente significativa, di circa il 30%, l’infiammazione che è all’origine della malattia ed è presente in 3 pazienti su 4 affetti da sintomi del tratto urinario inferiore. È importante che l’infiammazione sia trattata quanto prima”. Sulla base dei numerosi dati di efficacia, l’ente regolatorio europeo (European Medicines Agency, EMA) ha redatto nel 2015 un report, indicando l’estratto esanico come l’unico estratto di Serenoa repens supportato da sufficienti evidenze in grado di sostenerne un ampio utilizzo nell’ipertrofia prostatica benigna come farmaco di riconosciuta efficacia e sicurezza.

“Oltre all’impatto negativo sulla sessualità, un altro dei motivi della scarsa aderenza alle terapie va ricondotto all’insufficiente comunicazione medico-paziente – sottolinea Antonio Magi, Segretario Generale SUMAI (Sindacato Unico Medicina Ambulatoriale Italiana e Professionalità dell’Area Sanitaria) -. Lo specialista deve essere in grado di far capire al paziente che l’ipertrofia è una malattia cronica che, come l’ipertensione, va curata per tutta la vita. Per questo, tutti gli uomini over 50 dovrebbero sottoporsi a una visita specialistica una volta all’anno”.

“La dieta scorretta e le abitudini di vita sbagliate sono tra i principali fattori di rischio – conclude Mauro Gacci, Dirigente Medico di Urologia presso l’Azienda Ospedaliero Universitaria Careggi di Firenze e membro delle più importanti linee guida Europee (EAU-European Association of Urology) ed Internazionali (SIU-Societè International d’Urologie) sull’ipertrofia prostatica benigna -. La riduzione del sovrappeso può determinare un miglioramento dei disturbi urinari collegati all’ingrossamento della prostata. Una dieta povera di grassi e zuccheri può prevenire e curare l’infiammazione cronica della prostata che, nel corso degli anni, può portare all’ingrossamento della ghiandola e allo sviluppo dei conseguenti sintomi e disturbi urinari ad essa correlati. Piatti ricchi di Omega-3 e con effetto antinfiammatorio, il pesce, la crema di riso integrale, l’olio extravergine di oliva e di riso sono indicati per correggere le cattive abitudini a tavola; fra le verdure le carote, la zucca, le zucchine, il cavolo, il finocchio, la cicoria, le rape e le radici in genere. Al contrario, vanno limitati i cibi contenenti gli Omega-6, perché agiscono come cofattori negli stati infiammatori della prostata, in particolare le carni fresche e conservate, i salumi e gli insaccati, le uova, i fritti, i dolci e le bevande zuccherate, i formaggi grassi e le farine raffinate. È importante infine, svolgere un’attività fisica moderata con una certa regolarità negli anni: fare lunghe camminate a spasso svelto, andare in bicicletta almeno un paio di volte a settimana, ma anche giocare a tennis o a calcio, o andare regolarmente in palestra o in piscina può avere un impatto clinico molto significativo sui pazienti affetti da disturbi urinari legati alla prostata”.

14 novembre 2019

Tumore del seno: "5300 nuove diagnosi in fase metastatica nel 2019"

ROMA – Sono 5.300 nel 2019, in Italia, le nuove diagnosi di tumore del seno già in fase metastatica: rappresentano circa il 10% del totale. Grazie ad armi sempre più efficaci, alla disponibilità di farmaci innovativi e all’integrazione delle terapie sistemiche con i trattamenti locali, il carcinoma mammario metastatico oggi è una malattia trattabile, con una sopravvivenza mediana di 24-36 mesi. E, a 5 anni, il 25% di queste pazienti è vivo. Risultati impensabili solo 10 anni fa. Alle nuove strategie nella cura della malattia è dedicata la sesta edizione dell’International Meeting on New Drugs and New Insights in Breast Cancer, in corso all’Istituto Nazionale Tumori Regina Elena di Roma con la partecipazione di più di 200 esperti da tutto il mondo.

“In Italia vivono circa 815mila donne dopo la diagnosi della malattia - afferma il prof. Francesco Cognetti, Direttore Oncologia Medica del Regina Elena e presidente del Congresso -. Oggi abbiamo molte armi a disposizione, dalla chemioterapia all’ormonoterapia alle terapie target fino all’immunoterapia. Tutte le pazienti devono essere trattate nelle Breast Unit, cioè in Centri di Senologia, dove è più alta l’adesione alle linee guida, migliore l’esperienza degli specialisti ed è garantita l’adozione di un approccio multidisciplinare. A livello europeo, è stabilito che possano definirsi Breast Unit solo le strutture che trattano almeno 150 nuovi casi ogni anno. La multidisciplinarietà ne è l’elemento fondante. La formazione di un team coordinato favorisce il raggiungimento di un alto livello di specializzazione delle cure, dallo screening fino alla riabilitazione, ottimizzando qualità e tempistica delle prestazioni, con l’obiettivo principale di prolungare e migliorare la vita delle pazienti”.

È dimostrato che, nelle strutture ad alto volume, la sopravvivenza a 5 anni raggiunge l’83,9% (rispetto al 78,8% nei centri che trattano fra i 50 e i 99 casi ogni anno e al 74,9% con meno di 50). “Il lavoro efficiente di un gruppo multidisciplinare produce appropriatezza, coerenza e continuità dei percorsi diagnostico-terapeutici – continua il prof. Cognetti -, traducendosi in un miglioramento dell’utilizzo delle risorse umane ed economiche, indispensabile per sostenere i costi crescenti della malattia”. Il “peso” economico del tumore della mammella, in Italia, raggiunge i 540 milioni di euro ogni anno (considerando ospedalizzazioni e assistenza previdenziale). Circa la metà (52%) è rappresentato dai costi ospedalieri, oltre il 41% dalle uscite previdenziali legate alla disabilità parziale al lavoro ed il restante 7% da una disabilità lavorativa completa.

“Oggi – spiega il prof. Cognetti - il carcinoma della mammella, con 53.500 nuovi casi nel 2019, è in assoluto il più frequente fra i cittadini del nostro Paese. Le nuove armi hanno cambiato radicalmente le prospettive di cura, infatti la mortalità è significativamente diminuita nel periodo 2003-2014 in tutte le classi d’età, in particolare dello 0,9% ogni anno nelle donne under 50, dello 0,8% fra le 50-69enni e dello 0,4% nelle over 70. In quindici anni, l’effetto combinato di screening e terapia adiuvante (cioè somministrata dopo la chirurgia) ha contribuito a ridurre la mortalità di più del 30%”.

“Oltre ai progressi nella malattia avanzata e metastatica, oggi si registrano notevoli miglioramenti nel trattamento adiuvante delle pazienti già sottoposte a chirurgia, effettuato per ridurre il rischio di recidiva – continua il prof. Cognetti -. In particolare, numerosi studi hanno dimostrato la validità dei test genomici nell’orientare la scelta del tipo di terapia, con la possibilità in circa il 40% delle pazienti di evitare trattamenti chemioterapici inutili e dannosi. Purtroppo questi test sono disponibili e rimborsabili dalla Regione solo in Lombardia”. I diffusi programmi di screening mammografico e la maggiore sensibilizzazione delle donne all’aumento dell’incidenza del carcinoma mammario hanno portato, negli ultimi anni, a un consistente incremento di diagnosi di carcinomi in stadio precoce. La chirurgia conservativa ha progressivamente sostituito la mastectomia nel trattamento delle neoplasie in stadio iniziale, perché, associata alla radioterapia, è in grado di garantire alle pazienti le stesse percentuali di sopravvivenza globale e libera da malattia e migliori risultati estetici, oltre all’indubbio vantaggio psicologico collegato alla conservazione della mammella, che si traduce in una migliore qualità di vita.

“La chemioterapia resta un’arma fondamentale nella lotta contro la malattia – sottolinea la dott.ssa Alessandra Fabi, Oncologia Medica Istituto Nazionale Tumori Regina Elena di Roma -. Se la malattia è in stadio iniziale, la strategia terapeutica può prevedere una combinazione di chirurgia, terapia farmacologica (chemioterapia, ormonoterapia, trattamento con anticorpi monoclonali) e radioterapia. In particolare, la chemioterapia ha lo scopo di ridurre il rischio di ripresa della malattia a livello locale e generale. Convenzionalmente si utilizzano regimi di associazione contenenti antracicline e taxani prolungati per circa 6 mesi. È importante che, se somministrata dopo la chirurgia, la chemioterapia venga iniziata non appena la paziente abbia completato il decorso operatorio e, comunque, entro 90 giorni dall’intervento: specialmente nei tumori più aggressivi, definiti triplo negativi, l’intervallo tra chirurgia e avvio della chemioterapia è correlato alla prognosi, con una significativa minore efficacia con un intervallo superiore a tre mesi. Se il tumore è in fase localmente avanzata, la malattia è considerata non operabile in prima scelta. Considerato anche l’elevato rischio di diffusione metastatica in questo stadio, la chemioterapia è il trattamento d’elezione, che deve comunque essere integrato con la chirurgia e la radioterapia. Nella fase metastatica, la chemioterapia può integrarsi con terapie ormonali, farmaci biologici, chirurgia, radioterapia e terapie di supporto”.

Vi sono diversi sottotipi della neoplasia, definiti in relazione alle alterazioni molecolari. “Questo ci consente di scegliere in maniera altamente selettiva il trattamento in relazione alle caratteristiche di ogni sottogruppo – afferma il prof. Maurizio Scaltriti, Direttore Associato del Center for Molecular-Based Therapies al Memorial Sloan-Kettering Cancer Center di New York -. In alcuni tipi di tumore della mammella (15-20% del totale) una proteina, HER2, è presente in quantità eccessiva, causando così una crescita rapida e incontrollata delle cellule malate. Dal punto di vista biologico, è una delle forme più aggressive e, in passato, non essendoci armi disponibili, queste pazienti presentavano la prognosi peggiore. Oggi invece, grazie a terapie mirate che bloccano il recettore HER2 e che sono utilizzate sia nelle forme iniziali non metastatiche che in quelle metastatiche, è cambiato radicalmente il decorso clinico”. Inoltre, come evidenziato in una recente pubblicazione a firma del prof. Scaltriti, una percentuale rilevante di tumori alla mammella positiva per i recettori ormonali e HER2 negativa (HR+/HER2-), un sottotipo che include circa il 65% di tutti i casi metastatici, presenta due mutazioni distinte del gene PIK3CA. Questa alterazione genetica rende questi tumori spiccatamente sensibili agli inibitori di PI3K, recentemente entrati nello scenario clinico.

Altri passi avanti sono stati fatti proprio per queste pazienti HR+/HER2- in postmenopausa con la patologia metastatica. “È dimostrato che la combinazione di ormonoterapia e delle nuove terapie a bersaglio molecolare (inibitori di CDK4/6) è migliore rispetto alla sola ormonoterapia standard: la sopravvivenza libera da progressione è raddoppiata – continua il prof. Cognetti -. Non solo. Nessun regime di chemioterapia si è dimostrato più efficace rispetto alla combinazione. In queste pazienti, la pratica clinica si sta progressivamente allontanando dall’impiego della chemioterapia per adottare la combinazione, in prima linea, di diverse molecole a bersaglio molecolare con la terapia endocrina”.

“È importante stimolare interazioni tra gli scienziati provenienti da diversi Paesi e fornire loro i mezzi necessari per svolgere attività di ricerca - conclude il prof. William J. Gradishar, Direttore del Dipartimento di Ematologia e Oncologia del Medicine Robert Lurie Comprehensive Cancer Center della Northwestern University di Chicago -. Oggi abbiamo a disposizione molte armi per combattere questo big killer: prevenzione, diagnosi precoce, chirurgia conservativa, chemioterapie combinate, terapie ormonali e farmaci biologici che permettono di assicurare la guarigione alla maggioranza delle donne colpite. I risultati presentati al convegno confermano come la strategia vincente sia quella di tarare la terapia sulle caratteristiche specifiche delle pazienti”.

13 novembre 2019

Bambini con paralisi cerebrale: una scoperta dei Centri Padre Pio migliora la qualità della vita

SAN GIOVANNI ROTONDO (FG) - Un passo importante per la ricerca sulla riabilitazione dei bambini affetti da paralisi cerebrale è stato segnato dalla Fondazione Centri di Riabilitazione Padre Pio Onlus di San Giovanni Rotondo. Con un recente studio pubblicato sull’accreditata rivista di settore ‘International Journal of Medical Sciences’ - primo del genere in letteratura - sono stati mostrati i progressi nel trattamento del drooling (la scialorrea) con l’utilizzo di vibrazioni muscolari focali.

L’importante attività di ricerca del centro di eccellenza è stata condotta su 22 piccoli pazienti degli “Angeli di Padre Pio”, per i quali sono stati registrati evidenti miglioramenti, misurati con scale di riferimento scientifiche. Nel 40% dei casi, infatti, i bambini affetti da paralisi cerebrale infantile presentano ‘drooling’ dovuto a disfunzioni del controllo motorio orale, oppure a disfagia, disordini sensitivi intra-orali, difficoltà nel coordinare testa, tronco e muscolatura oro-facciale.

Il drooling, che comporta la perdita di saliva dalla bocca, è una condizione che ha ripercussioni molto spiacevoli sia per i bambini che per genitori, ma anche per gli operatori sanitari. Le conseguenze del fenomeno sono socialmente gravose: rifiuto e isolamento sociale, indumenti perennemente umidi e sporchi, odore sgradevole, pelle screpolata e irritata, infezioni della bocca. Nei casi più gravi, si arriva alla disidratazione, difficoltà nel parlare, fino ad arrivare addirittura al danneggiamento di oggetti come libri, tablet o altri ausili per la comunicazione.

“Si tratta di un aspetto spesso sottovalutato dall’equipe riabilitativa - spiega la Dott.ssa Serena Filoni, direttore sanitario degli Angeli di Padre Pio e firmataria dello studio. La scialorrea può essere curata con l’utilizzo di farmaci, con interventi invasivi, con trattamenti logopedici, ma spesso si va incontro a effetti collaterali o a benefici meramente transitori.

Con l’approccio oggetto dello studio, invece, abbiamo dimostrato come il controllo motorio e il rafforzamento muscolare possono essere influenzati da una potente stimolazione propriocettiva, attraverso la vibrazione appunto, che raggiunge la corteccia somato-sensoriale e motoria attivando le fibre afferenti. La vibrazione, dunque, potrebbe favorire la riorganizzazione della corteccia motoria e somatosensoriale. I bambini che presentavano una sciaolorrea da moderata a grave, sono stati poi sottoposti al trattamento di vibrazione locale con Crosystem sui muscoli sottoomandibolari. Abbiamo incluso 22 pazienti nello studio. Dopo il trattamento, tutti i bambini sono stati rivalutati e i risultati sono stati sorprendenti. C’è stato un miglioramento statisticamente significativo in tutti i test effettuati sia subito dopo il trattamento che a distanza di 3 mesi”.

Questo approccio apre ora scenari di trattamento interessanti per una serie di motivi. Innanzitutto, perché può essere sottoposto anche a pazienti che non collaborano agli altri approcci, aumentando così le possibilità di successo. Inoltre è un trattamento breve, di sole 3 sedute, che agisce sulle cause del problema e non ha effetti collaterali.

Infine, la vibrazione può aver influenzato il sistema oro-facciale migliorando la coordinazione, il tono muscolare, la forza muscolare, la capacità sensoriale, migliorando così la “gestione” della saliva nella bocca. La deglutizione della saliva, una volta acquisita, viene costantemente allenata durante la giornata, in modo da potenziare gli effetti del trattamento, anche al follow-up. Si tratta quindi di un metodo “potenzialmente” duraturo e di grande impatto sulla qualità della vita dei piccoli pazienti e delle loro famiglie.

SCHEDA/COS'È IL DROOILING - La scialorrea (drooling), è una condizione clinica caratterizzata da un anomalo ed eccessivo accumulo di saliva nella cavità orale con caduta dal margine delle labbra. È un fenomeno fisiologico nei bambini fino a 2 anni, che può anche persistere fino al completamento della dentizione (4-6 anni) e che si arresta spontaneamente con il raggiungimento della maturazione motoria oro-facciale; la persistenza oltre i 6 anni è da considerarsi patologica.

Alcune forme di scialorrea o drooling sono dovute ad una ad una eccessiva produzione di saliva come succede in caso di infiammazioni, infezioni, oppure in alcune malattie neuromuscolari come la SLA o il Parkinson. Altre forme di scialorrea sono invece dovute all’incapacità di mantenere la saliva all’interno della bocca, per deficit di coordinazione, per scarso controllo del capo, del collo, delle labbra, oppure per alterata motilità della lingua o per disfunzioni sensoriali.